BIRMANIA Bagan – Il Mistero dorato di Kipling
BIRMANIA BAGAN
La Lonely Planet inizia la descrizione di Bagan in Birmania con: “Immaginate tutte le cattedrali medioevali europee concentrate insieme, in un’area grande quanto l’isola di Manhattan”.
Kipling la definì “il mistero dorato”, Marco Polo “la città dorata dal suono di 1000 campane e dal fruscio delle vesti dei monaci”, Terzani “uno di quei luoghi che ti rende fiero di appartenere alla razza umana”.
Per me era una chimera da anni sognata e ora, dopo averla vista e vissuta, vi posso garantire che è uno dei quei rari posti che riesce ancora a sprigionare mistero e tranquillità, bellezza ed energia, misticità e armonia allo stato puro.
Bagan divenne storia e mito quando nel X° secolo il re dell’impero Birmano Anawrahta, si convertì al buddismo Theravada, trasformando in pochissimi anni la città nel più importante centro religioso e culturale dell’Indocina, meta di pellegrinaggio di milioni di fedeli e sede di università prestigiose e famose in tutta l’Asia.
Il re, fece arrivare da India, Sri Lanka, Cina e Thailandia migliaia di monaci, artigiani, studiosi, costruendo sulle rive
orientali del fiume Irrawaddy in 42 km² quasi 13000 tra templi, pagode, zedi e edifici vari, tutti costruiti in pietra arenaria.
Trascorriamo 3 giorni in giro tra templi e risaie, solo con le nostre bici, senza nessuna guida, andando tranquilli tra le stradine di campagna ancora sterrate, con quell’atmosfera di rilassatezza e quiete che sprigionano un equilibrio così talmente potente che lo puoi sentire in tutta la sua forza.
2 episodi sono i più significati.
Il primo è stato quando la seconda mattina, inizia a diluviare, siamo da soli in mezzo alle risaie, in un attimo siamo impantanati, poi all’improvviso vediamo il Sulami Patho, il”gioiello supremo”, il più importante tempio di Bagan.
Formato da due piani, sormontato da un bellissimo Sikhara dorato.
Immerso in una ricca vegetazione, con 5 porte d’ingresso, quattro statue del Buddha ai quattro punti cardinali e delle preziose decorazioni ai muri interni.
Appena entriamo, inizia un nubifragio ancora più forte e capiamo che durerà un bel po’.
Così scegliamo una statua che più ci attira e ci fermiamo lì sotto tre ore: Valeria dorme, io leggo, penso, medito e scrivo con una pace difficile da ritrovare.
Il secondo è senza dubbio il tramonto, stare in cima alle pagode, aspettando il sole tramontare, senza nessun rumore, fantasticando nel vedere l’insieme di tutti questi tempi, tutti così vicini, così seducenti e intriganti, spirituali e armoniosi.
Aspettare il calar del sole, in cima alla terrazza a 360° del Pyathada Paya, dove rimaniamo per un paio d’ore, in compagnia di centinaia di libellule.
Valeria si addormenta anche qui come una bambina ed io, come un bambino, assaporo tutti i secondi di questo posto, al di la del tempo e dello spazio, orgoglioso come Terzani, di appartenere alla razza umana.
Non ci sono più parole per descrivere quello che vedo né stati d’animo per spiegare quello che sento, ormai è buio e a malincuore salutiamo Bagan.