HONDURAS 11° Il centro del Copinh
COPINH
La mattina mi sveglio e capisco subito che la situazione si è molto aggravata, nell’aria c’è rabbia ma qui al Copinh, si respira anche euforia, passione e voglia di agire.
Vedo Hernesto che parla in continuazione al telefono e quando ha finito, vado da lui per capire cosa è successo.
Lui mi dice che l’hanno chiamato dei suoi amici e parenti e gli hanno detto che da ieri sono aumentati arresti, sparizioni e omicidi contro la gente, ragazzi, donne, bambini, uomini che sono contro il regime e il golpe, in tutto il paese, specialmente a San Pedro Sula e nelle città del nord e anche di molti suoi amici non hanno più notizie.
Poi mi guarda e ancora più preoccupato mi dice che all’alba l’esercito è arrivato alla periferia della città e forse entro poco bloccherà tutte le vie di transito.
Gli domando subito se pensa se verranno pure qui.
Mi dice che è difficile dirlo, il governo sa tutto di loro, ma sa anche che non hanno armi e sono molto appoggiati sindacalmente, politicamente e anche un po’ a livello internazionale.
Però ormai stanno in guerra e quindi tutto è possibile.
Mi dice che se voglio posso andare con lui alla città che mi porta a fare un giro.
Andiamo cosi alla posta, dove ritira i soldi che gli manda la madre, mi porta al mercato e ci fermiamo a bere due birre in dei bar.
Sempre molto discretamente, anche perché si vedono molti militari e molti altri come mi dice, sono in borghese.
Mi porta in giro per le campagne, mi parla di politica, di filosofia, di storia e letteratura, di Mao, PolPot, Lenin, Stalin, Hitler, Berlusconi, Bush, di calcio e di donne.
Mi parla del futuro che vuole, della libertà che chiede, dei progetti che sogna e di com’è stato, è e sarà sempre disposto a tutto per raggiungerli, per lui, per la sua famiglia e per i suoi amici
…ANCHE A COSTO DELLA MORTE.
Da una parte mi stavo cacando in mano e avevo una fifa da paura, ma dall’altra ero sempre più eccitato e avevo un qualcosa che non mi faceva pensare più a niente.
Quando torniamo, però mi dicono che è meglio che me ne vada via il prima possibile, troppo pericoloso, o meglio, se voglio restare, sono ben accetto e sarei di loro aiuto ma devo essere consapevole di tutti i rischi a cui andrei in conto.
Un esperienza cosi non mi ricapiterà più, ma tra dieci giorni devo tornare al lavoro, e se mi dovesse succedere qualcosa, vallo un po’ a spiegare a casa, dove pensano che stessi in qualche spiaggia tra surf, birra e ragazze.
Gli dico che sono un vigliacco ma me ne vado, quasi piangendo.
Una donna mi prende la mano e come nei film mi fa : è la nostra guerra tranquillo, torna a casa dalla tua famiglia che è la cosa più importante di tutte e racconta la nostra storia.
Comunque il primo bus parte la mattina dopo e assaporo tutta la sera con quest’unica, fantastica gente, con un cuore puro e con degli ideali che noi non sappiamo proprio cosa siano.
Mi metto a dormire e in lontananza sento degli spari e dei botti sempre più vicini.
Ogni minimo rumore penso che stiano entrando e che mi pesteranno di botte.
Ho gli occhi spalancati e il cuore a mille.
Poi a un certo punto entra Hernesto, mi dice di prendere tutto e di seguirlo, mi porta a prendere un bus.
Camminiamo un oretta in mezzo a campi, mi dice che se qualcuno mi ferma io devo dire che sono un turista e che non sono mai stato da loro, rischierei la vita,
Di tenere sempre il passaporto in tasca e di sbrigarmi a tornare in Nicaragua.
Abbraccio forte Hernesto con la promessa che prima o poi sarei tornato io,o se lui volesse venire in Italia: mi casa Es tu casa.
Prendo il bus che ancora è notte, arrivo a Tegus dove trovo subito una coincidenza per Managua.
Senza nessun problema esco dall’Honduras, felice perché sano e salvo, ma molto triste per aver conosciuto una realtà e delle persone cosi magiche.