ORTE Il Castello di Baucche
IL CASTELLO DI BAUCCHE
Il Castello di Baucche viene fondato nella seconda metà dell’XI secolo dalla famiglia dei Crescenzi Ottaviani e dall’ortano Rainerio di Pagano che lo dona, insieme ai possedimenti di Palazzolo al monastero romano di San Silvestro in Capite.
Dall’atto si evince un’importanza economica piuttosto rilevante del castello, che gestisce sia il porto di Caselle, dove riscuote presumibilmente gli approdi fluviali che il monastero di San Cristoforo con le sue vaste proprietà terriere.
L’importanza economica e strategica dell’insediamento è probabilmente accresciuta dalla sua posizione di controllo sulla via Tiberina, ancora molto transitata nei secoli centrali del medioevo.
Dopo secoli di quiete sotto il controllo del monastero di San Silvestro in Capite, nelle fasi successive al passaggio di quest’ultimo dai monaci basiliani all’ordine delle Clarisse (avvenuto nel 1285), il castello di Baucche viene coinvolto dal 1320 al 1331 nelle lotte fra la Chiesa, tra i Vico e gli Orsini, che si alternano nel possesso.
L’ultima testimonianza, prima della distruzione avvenuta nel 1404 ad opera delle truppe di re Ladislao, è un atto di investitura del 1396 da parte di Bonifacio IX nei confronti del cittadino ortano Verrochio, documento che contiene anche parti dello statuto del castello di Baucche.
A distanza di 35 anni dalla ricognizione compiuta dalla Nardi e di 20 da quella effettuata da Del Lungo, le strutture superstiti del castello si presentano immerse dalla vegetazione; l’unica struttura ben visibile è una torre, perfettamente orientata in senso Nord-Sud, in posizione dominante rispetto alla sottostante carrareccia.
L’edificio è a pianta pressoché quadrata (m. 6,30 x 6,70) e si conserva nelle pareti S ed O sino ad un’altezza di 8 m, laddove si impostava il pavimento della terrazza o piazza d’armi.
In esse sono visibili le tracce di due livelli ai quali si accedeva dall’esterno indipendentemente dal vano a livello del terreno è coperto con volta a botte ed è servito da un ingresso sul lato Nord (larghezza n 0,85, altezza m 2,25), sormontato da un arco a sesto acuto in conci di tufo.
La stanza al primo piano era parzialmente occupata da una scala in legno, di cui resta l’impronta, addossata alla parete; sul muro adiacente, tutto in blocchetti squadrati di tufo rosso disposti a filari regolari, è visibile una porta con arco a sesto acuto raggiungibile dall’esterno con una scala a pioli che, in caso di pericolo, poteva essere ritirata.
Il secondo piano, oggi non raggiungibile, presentava sulle murature i segni lasciati dalle travi di sostegno del pavimento e i blocchi di calcare appena sbozzati della rampa diretta alla terrazza.
Secondo la definizione della Nardi una seconda torre aveva le stesse caratteristiche della precedente da cui dista circa 13 m.
Di dimensioni inferiori (m. 5,10 x5,40) ma dalla medesima forma, si è conservata solo fino al livello pavimentale del primo piano, sostenuto da una volta a botte in blocchetti di tufo ben squadrati (chiave all’altezza di m. 2,85).
L’ingresso al piano terreno (larghezza m. 0,97; altezza m. 1,96) si apre sul muro O in blocchi di calcare lavorati a bugnato, spesso m. 1,40; subito dietro l’architrave è coperto da una volta a sesto acuto in conci di tufo regolari.
Circa 30 m a SO delle torre si nota sul terreno un’impronta circolare profonda 20 cm e del diametro di quasi di un metro.
Da informazioni raccolte localmente si ricava che la piccola conca era occupata da un orcio di terracotta, presumibilmente un dolio; alcuni anni fa è stato asportato dai clandestini.
Costruite in pietra calcarea non lavorata e elevatesi sino a quasi 3 metri di altezza, svolgevano in primo luogo la funzione di terrazzamento della parte superiore dell’altura, partendo dai fianchi delle rupi sino al livello dell’abitato.
Presso di esse nel settore sud-occidentale del castello si trova una vasca d’acqua a pianta rettangolare (m 4,40×5,10) in blocchi di calcare, alcuni dei quali lavorati; in alcuni punti delle pareti vi sono tracce di rivestimento marmoreo.